Domande alla 24enne in palestra









Sono tornata in palestra dopo mesi di assenza. Da casa mia sono sette minuti a piedi, e durante il tragitto ho quasi fatto marcia indietro dodici volte. 

Ma è  bello arrivare dopo così tanto e scoprire che non è cambiato quasi nulla: rimane nell’aria lo stesso odore di linoleum, dello shampoo e del balsamo della doccia, gli stessi suoni dei tapis roulant che girano e girano facendoti fare chilometri senza andare da nessuna parte, la musichetta inutile, la signora che pulisce gli spogliatoi che mi saluta con affetto.

Sono entrata fingendo una convinzione tipica del 4 gennaio, dopo i vari buoni propositi che si fanno, sperando che durino. Mi sono messa i miei vestiti della palestra: pantaloni che uso ormai da mesi come pigiama, una t-shirt con una patacca davanti, un paio di scarpe di sei anni fa un po’ sporche di fango perché le uso a Becket, calze spaiate. Tanto, mi dico sorridendo da sola, non siamo mica qui per farci notare, no? Ho riempito la mia bottiglietta d’acqua e ho schiacciato start sul tapir roulant, il penultimo nella fila centrale che uso sempre. Ho cominciato con i classici cinque minuti di riscaldamento, a passo lento, mentre sul mio iPhone cercavo la musica giusta: ho scartato a priori Dalla, che poi mi commuove, Bob Dylan e Guccini, perché non approverebbero di essere ascoltati in un posto così poco proletario e ho optato per Vado al Massimo (tutto il cd) di Vasco. Sono pronta, mi dico aumentando la velocità.

Alzo gli occhi e vedo lei: ventiquatto anni al massimo, pantaloncini corti e neri che mostrano una depilazione raffinata e fresca, una canottiera aderente rosa che sottolinea la perfezione di due seni piccoli, perfetti per il corpo, magro e slanciato. I calzini, ovviamente non spaiati, dello stesso rosa della canottiera, le scarpe nuove e belle. I capelli, di un biondo schifosamente naturale e lisci, sono raccolti in una coda di cavallo lunga giusta, che fa sciuf sciuf: destra, sinistra, ad ogni falcata di corsa, ritmata da una musica dell’ipod sicuramente scelta per aiutare a mantenere il ritmo della corsa. Non una goccia di sudore, non un accenno di affanno. Ogni tanto, sempre correndo, la ventiquattenne guarda il telefono e risponde ai messaggi che riceve, senza perdere né ritmo né velocità, e senza cadere.

Queste sono le domande che avrei voluto farle, se non avessi avuto un fiatone da fumatrice incallita.

Cara ventiquattrenne che vieni qui, di fronte a me, conciata così:
-       - come ci si sente a umiliarmi in questo modo?

-       - hai visto che bella la canottiera di lana che mi sono tolta negli spogliatoi? Me l’ha comprata mia zia al mercato del venerdì. È figa perché è lunga abbastanza da farci le tendine con le mutande. Tu te le fai le tendine con le mutande con la canottiera di lana?

-       - perché vieni in palestra se sei già così? Cosa sai tu che io non so?

-       - io a marzo, quando è uscito il mio secondo libro, ero da Fazio. Tu? Eri sempre qui a correre da ferma?

-       - anche tu quando torni a casa dopo aver corso, ti metti il ghiaccio sui muscoli delle gambe perché fanno un male bestia?

-       - da dove sei tu, si vede che non mi depilo da agosto?

-       - lo sai che un giorno, se avrai dei figli, la tua pancia sarà come la mia e le tue tette anche? E anche tu sarai umiliata come me? Sei contenta?

-       - appena esci dalla palestra, anche tu ti accendi una sigaretta, fatta in fretta e furia, perché hai capito che tanto non ce n’è per nessuno?

-       - io sto ascoltando Vasco Rossi: tu?

-       - hai messo l’apparecchio per i denti da piccola, o le avevi già così dritti di natura?

-       - puoi cambiare palestra?

-       - io dopo vado con il mio amico Richard a pranzo a Porter square. Tu cosa fai?

Invece non le ho detto niente. Vasco mi cantava una canzone dolce quando ho deciso, 45 minuti dopo, di andare a fare una sauna e una doccia calda. Mi sono asciugata, incremata, rimessa la mia canottiera di lana, i miei vestiti normali e sono andata a casa, ad aspettare che Richard mi dicesse a che ora incontrarci.

Sarà un anno lunghissimo, me lo sento.




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