Confessioni di una viaggiatrice ad oltranza
Devo ammettere che sto migliorando nell'affrontare i miei
viaggi e soprattutto i miei rientri. È proprio vero che dopo un po’ ci si
abitua a tutto, anche alle cose che si pensavano impossibili da accettare.
Ogni volta parto verso un mondo certamente famigliare ma per
affrontare esperienze sempre diverse, sempre nuove. A parte qualche amico e la
famiglia, le persone con cui ho a che fare sono sempre nuove, in
posti altrettanto nuovi. È un po’ come un salto nel buio ogni volta.
Faccio spesso questi pensieri mentre cerco di dormire su
quelle poltroncine scomodissime dell’Alitalia, con la musica che suona nelle
cuffie e gli altri attorno a me che dormono nelle posizioni più strane. Sto per
affrontare un’altra avventura, mi dico. E ogni volta mi sento estremamente
privilegiata, perché alla mia età, con tre figli, un marito e due cani è
difficile trovare spazio per vivere nuove esperienze. È difficile trovare
occasioni per andare lontano, da sola, e parlare in sale bellissime di palazzi
antichi del mio lavoro, sentire ancora i brividi dell’emozione che ti dà una
scossa di adrenalina. Forse sono proprio questi pensieri, alla fine, che non mi
fanno mai dormire durante il viaggio. Poi atterra l’aereo e con lui atterrano
anche le mie ansie, per dar posto a un foglio ancora tutto bianco, da riempire.
Quegli atterraggi segnano la fine del viaggio e l’inizio di qualcosa che non mi
ha ancora mai deluso.
Poi passo due o tre settimane importanti, in cui sto un po’ con la mia
famiglia, un po’ con i miei amici, un po’ in treno, e tanto a scoprire posti e
persone nuove, che mi trattano sempre come se fossi una persona importante.
È uno stacco emotivo e fisico forte dalla mia vita normale,
di qui: se dovessi spiegarlo con delle immagini, sceglierei due rotaie di un
treno. Una da sola non serve a niente, ce ne vogliono due, eppure non si
incontrano mai. È un pochino così, da qualche anno a questa parte. Non sarei la
stessa Marina Viola senza essere la mamma dei miei tre ragazzi, e non potrei
essere la mamma dei raga senza poter essere almeno qualche volta all’anno Marina Viola. Eppure nessuna delle
persone che frequento in Italia ha mai conosciuto la mia vita qui, e viceversa.
Questa cosa qui delle rotaie indispensabili l’una all’altra
eppure perfettamente lontane è stata la parte che per i primi anni di viaggi mi ha reso
difficili i ritorni a casa. Difficili per me, che pensavo al rientro come alla
fine di un viaggio, invece che a una continuazione logica, e difficili anche per
Dan, che non lo ammetterà mai ma fa fatica a non essere parte dell’altro binario.
Litighiamo spesso quando rientro, anzi a volte iniziamo qualche giorno prima,
al telefono, spendendo anche un sacco di soldi. Per alcuni giorni in casa si respira un’atmosfera pesante,
piena di insicurezze, di gelosie, di sensi di colpa e infatti durante il mio
viaggio di rientro, sulla poltroncina scomoda dell’Alitalia, mi preparo proprio
ad affrontare con più serenità possibile i giorni a venire, difficili per
tutti.
“Vorrei vedere te” è la frase che esce dalla bocca di Dan
dopo al massino otto ore che siamo insieme. La mia risposta anche quella è la
stessa: “non mi hai visto, perché a lavorare ci sei sempre andato tu, negli
ultimi 20 anni. Io ero qui, sempre qui. Adesso tocca a me”. Le lunghissime
discussioni iniziano sempre da qui. Abbiamo tutti e due ragione, questo è il
punto: lui a sentirsi escluso, io a sentirmi in diritto di fare quello che
faccio, sapendo soprattutto di non aver mai fatto niente di male: mai tradito,
mai rubato, mai fatto cazzate.
Poi però passano anche questi giorni con la loro tensione e
le loro recriminazioni, e il treno riprende a partire su tutte e due le rotaie,
tranquillo.
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