Pensieri notturni









Mio padre. Anzi, il mio papà.

Me lo sento così distante. Come se io non avessi fatto parte per niente della sua vita. Quando sento parlare di lui, non ne sento mai parlare nel suo ruolo di padre, per cui diventa una figura lontana, quasi un sogno, un’illusione.

Il mio papà, e adesso un pò mo gaso, il mio papà era una persona assolutamente unica, geniale. Ha aperto porte, senza limiti. Ha fatto dei suoi difetti dei pregi. Ha osato, davanti a mamma Rai,  dire cose che prima non si osavano neanche pensare.

Ha usato la sua macchina per scrivere come strumento per abbassare persone considerate miti dal resto d’Italia a esseri umani e a volte quasi mediocri.

Ha trasformato la sua passione per i cavalli, tramandata da generazioni di Viola, come un'opportunità per spiegarci una cultura ricca, antica, con il suo linguaggio e i suoi personaggi.

Ha imparato a osservare, semplicemente raccontare dei mondi che non appartengono alla vita della gente normale, come noi.

Ha portato Rivera, allora indiscusso campione del calcio, sul tram durante un’intervista proprio su quelli che prendono il tram, per far capire che anche lui, in fondo, è uno di noi.

Ha colto, condiviso esperienze uniche, e le ha trasformate in esperienze quotidiane, semplici.

Io di mio padre vorrei avere almeno un po', a parte il colesterolo alto e una passione per il vino rosso, vorrei avere il suo fiuto, la sua genialità. Credo, però, che tanti figli di persone grandi così abbiano un’enorme difficoltà a confrontarsi con i loro genitori. Perché io sono io e lui era lui, ma io voglio essere più lui di me, e già il volerlo indica una matrice di sforzo, che vuol dire che non ce l’ho dentro. Come se in fondo non mi fidassi della sua parte, come se avessi paura di andare lontano come è andato lui, come se avessi un freno dentro di me, dettato dal mio buon senso di cui lui se ne fregava e invece io no.

Ecco poi la differenza. Lui ci andava dietro, al suo istinto. Io invece mi faccio le mie belle remore, come se non fosse giusto seguire quella strada lì. Eppure non c’è niente che voglia fare di più, se non altro perchè vedo nelle immagini, che sono tante, che rimangono di lui, un senso di fierezza: io sono così e non ho paura. Come una sfida, quasi.

Una sfida che lu ha proposto anni fa, ma che in fondo io non sento lanciata a me. Certe volte mi chiedo quanto di me lui avesse in mente quando faceva le cose che faceva. Io ero una delle tre, e poi delle quattro, a casa con mia madre, o con i nonni. Lui non se ne doveva certo preoccupare. E infatti aveva la mente libera da tutte queste cose che noi che invece dobbiamo pensarci abbiamo.

Non per metterla sul femminismo, che poi sicuramente non ha niente a che vedere con 'sta storia, ma insomma, non c’è una donna una che sia arrivata al suo successo in quel periodo, o anche nel nostro di periodo. Le donne erano a casa, a fare le mamme le mogli, e lui non ne aveva di questi pensieri. Per cui adesso, io, donna, ma sua figlia, sono in un certo senso spinta a fare le cose che ha fatto lui, e nello stesso tempo impantanata in una realtà di madre e di donna, come lo era mia madre. E da lei ho imparato a 'star schiscia', a fare priorità quello che mi sta attorno: figli, bucato, casa, palle varie. E ne posso avere anche di idee, ma se ho tempo.

Ecco lui invece veniva da una realtà diversa: aveva una madre ironica, piena di voglia di minimizzare la vita, renderla normale anche in situazioni impossibili. E aveva un padre Viola, con i suoi fratelli, tutti con un amore incontrollabile per i cavalli, che è come una voglia di adrenalina continua, un amore sfrenato e assolutamente irrazionale per quelle bestie e per quel mondo, con il suo linguaggio, le sue regole. 

Poi vedo il documentario, l’ultimo, fatto su di lui. Vedo personaggi che per gli altri sono solo figure pubbliche, conosciute, ma che per me rappresentano una fetta di vita: Gubellini, Casarin, Enzo, Abatantuono, Giorgio, il Giuliano. Capisco che su ognuna di queste persone potrei farlo io, un documentario. Di vita vissuta. Di robe che abbiamo vissuto insieme al mare, a Bordighera, o a San Fedele d’Intelvi.

Cose che ovviamente dal documentario non vengono fuori, ma che per me, come per mio padre, le mie sorelle e mia madre, significano parte di una vita, prima e dopo la morte di mio padre. E mi dico, allora forse un pò è vero che io ne faccio parte.

Roba strana, la vita.

Per non parlare della morte.


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