Il silenzioso mondo dei vulnerabili


Me lo aveva detto, con il suo sorriso sempre pronto, e i suoi occhiali tipo architetto. Lo aveva detto mentre eravamo, ancora una volta, attorno al tavolo rotondo della scuola di Luca. Ben, che è a capo delle decisioni da prendere per quanto riguarda l’iter terapeutico scolastico di Luca, aveva detto che se ne sarebbe occupato lui di quella roba lì.
Che potrei stare qui a spiegare di cosa parlo, ma comunque sia, quello che viene fuori da questa e da altre mille storie simili è sempre la stessa cosa. La vulnerabilità di Luca è talmente ovvia, che quasi viene la tentazione di dire che si fanno le cose, o che si sono fatte. Tanto lui mai verrà a dirmi se è vero o no.
Quello che mi fa venire la nausea da ansia è il fatto che Luca sia tutto il giorno, dodici mesi l'anno nelle mani di altri. Gente che dice di avere a cuore Luca, di usare tutte le energie per fare in modo che lui faccia, migliori, impari. Ma l’unica cosa che io ho in tasca è la loro parola. La mia fiducia titubante.
Lui, Luca, ce l’ha scritto in fronte: fregami, trattami male, vai avanti a dir balle, tanto io non dico niente. Certe volte questa sua fiducia totale è disarmante.
Ho girato scuole su scuole per cercare quella che, a pelle, mi sembrava la più sicura. Ho preso appuntamenti con decine di direttori di scuole private che si occupano esclusivamente di persone autistiche. Ho visto centinaia di aule. Ho parlato, raccontato e soprattutto ascoltato.
E poi ho preso delle decisioni, basate più che altro su sensazioni, perchè poi tutte le scuole propongono più o meno le stesse cose; le aule sono tutte quasi uguali. Sono quasi le parole non dette in questi incontri, il colore dei muri, i bagni puliti, le maestre giovani e piene di energia che mi fanno scegliere. Le direttrici che sorridono un sorriso di fiducia. Non è che si può vedere un curriculum, o quanti bambini dopo le medie vanno al liceo con una buona preparazione, come farei per Sofia o per Emma.
Qui è solo ed esclusivamente una questione di fiducia. Metti che un maestro o un assistente ha le palle girate e dà uno scapaccione a Luca. Metti che lo trattano male, che gli dicono fuck you o lo ignorano. Metti che gli toccano il pisello, o che non gli danno la mano quando escono e lui si perde. Non ho modo di riscontare niente di tutto questo. Mi devo solo fidare.
Mi ricordo quando eravamo a New York. Luca andava in una scuola che tutti dicevano è la migliore, a Union Square, tra la Quinta e la Sesta. Poi un giorno vado e mi accorgo che Luca non fa terapie da mesi, perchè la scuola invece di chiamare delle supplenti, usa le terapiste. Se non fossi andata lì, quel giorno, mai avrei saputo. Ho subito chiamato la direttrice, che ha negato, e ho subito scritto una lettera ai genitori dei compagni di Luca, per dire controllate. Le lettere erano nelle buste sigillate e messe nello zainetto di Luca. Avevo mandato un avviso alle maestre di mettere le buste negli zainetti dei bimbi. Ma invece le buste sono state aperte e messe sulla scrivania della direttrice, che mi chiama e mi dice che Luca non può più andare alla loro scuola.
Capita sempre così: se hai la sfiga di scoprire che se ne approfittano dell’handicap dei bimbi, vieni allontanata, e che ne sai, magari tuo figlio viene anche maltrattato.
Come quella volta che Luca continuava a toccarsi il pisello e dire penis, penis, e piangeva. Strano, allarmante. Ancora più allarmante se si sa che andava a scuola su un pulmino, solo lui e il guidatore, e che tornava sempre a casa un’ora dopo perchè “c’era traffico”, diceva. Appena ho fatto, anche lì, casino, il guidatore si è licenziato, e ho richiesto che Luca andasse sul pulmino con un guidatore e un’accompagnatrice, che tensse d’occhio la situazione.
Questo per dire: anche chi decide di occuparsi di persone come Luca, che ti dice son qui per aiutarti, anche tra di  loro ci sono le teste di cazzo, quelli che ti fregano perchè possono.
Eppure, a voler vedere, c’è poco da fare. Voglio dire: prima o poi bisogna pur fidarsi, no? oppure cosa fai, cambi scuola? Ma chi ti sta a dire che in un’altra scuola sono invece onesti? Ma allora l’alternativa c’è o no? Dobbiamo dire vabbé se gli toccano il pisello cosa possiamo fare? In fondo è la parola di Luca (che non vale perchè la società a lui non crede) contro la parola di un guidatore che ha deciso di portare i poveri bambini handicappati a scuola. Cosa fai?
Perchè il vero handicap di Luca non si chiama autismo, o sindrome di Down. Si chiama vulnerabilità.
E anche a Ben, coi suoi occhialini e il suo sorriso, è scappata la palla, ed è stato colpito e affondato. E se ne scopri una, di palla, ti viene la paranoia che siano tutte palle. Perchè vuol dire che dietro i suoi occhailini, anche Ben si è approfittato del suo potere su Luca. Anche lui quel gioco lì lo conosce bene: tanto Luca non dice niente. E da quanto ci gioca a sto gioco qui?
La cosa che più mi stupisce in tutte queste storie quotidiane è il fatto che non ci sia ricorso. Voglio dire: il distretto scolastico ha stabilito che le scuole pubbliche non offrono programmi che possano aiutare Luca, e quindi hanno deciso di mandarlo in una scuola privata, pagando centomiladollari all’anno. Il doppio di Harvard, tanto per rendere l’idea. Poi la scuola risucchia dentro le sue porte Luca e finisce la storia. Il disretto ha fatto il suo dovere, e adesso la scuola, che ha una regola ben precisa di non fare entrare nessuno nelle aule, anche la scuola adesso fa la sua bella parte. Centomila dollari, please.
Ho mandato un’email al distretto l’altro giorno per dire: ma scusate, voi pagate tutti questi soldi; ci sarà pure qualcuno di voi che va a controllare che i soldi siano spesi bene, no? Cioè, negli ospedali ci sono delle persone che vengono una volta ogni tanto per controllare che il servizio sia perfetto. Perchè? Perchè i pazienti degli ospedali sono in una situazione di vulnerabilità, e non sono in grado, loro, di denunciare un misfatto.
E per le persone come Luca? No, mi dice galantemente la signora del distretto, noi non abbiamo abbastanza personale. Non avete abbastanza personale? E intanto queste scuole private vi fregano i soldi e a noi fregano i figli.
Lo dico sempre: l’handicap non ce l’ha Luca, ma ce l’ha la società, che ancora non ha accettato. La terapia la dobbiamo fare noi. Siamo noi che dobbiamo imparare a non approfittarcene. Non ho mai sentito di una persona autistica o con la sindrome di Down che ha commesso un reato, di alcun tipo. E se lo commettesse, ci sarebbe ricorso.
Invece sti stronzi, come Ben e i suoi occhialini, loro si sentono l’incazzatura dei genitori al telefono, mettono giù la cornetta e continuano la loro carriera. Bei contenti.
Tanto, chi li vede?

Commenti

  1. Ciao Marina, sono la visitatrice che da qualche giorno ti segue dagli Emirati Arabi. Non mi ricordo come sono finita sul tuo blog, ma me lo sto divorando, post dopo post.
    Ho scelto di scrivere un commento qui perchè questo articolo mi è rimasto in gola, un groppo che non va giù.
    Non avevo mai pensato alla vulnerabilità. Grazie per avermi aperto gli occhi.
    Un abbraccio grandissimo, anche se non ti conosco, e uno a Luca.
    Flavia

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