Il lavoro nobilita l'uomo



Oggi che i bambini sono tornati a scuola, sono finalmente tornata alla mia routine di sempre: preparo la colazione per Emma, la lavo e la vesto, la porto a scuola. Sto con lei un paio di minuti, la saluto, sorridente, e faccio il giro lungo per andare in palestra, dove corro le mie belle cinque miglia, sudo come una bestia, mentre ascolto altissima la mia musica (oggi, come spesso, Folco Orselli che a me mi fa impazzire), e faccio finta di non notare tutti quelli che mi stanno attorno: quello bello, quella vecchietta, quello grasso, i tatuaggi, le scarpe, le magliette...Poi mi do' al sollevamento pesi, perche' voglio avere le braccia di Michelle Obama (per ora i risultati sono piu' che scarsi). Grondante di sudore, mi svesto e mi piazzo nella stanza ricoperta di ceramica bianca con il vapore.

E' li che comincio a pensare.

Penso che adesso che mi sono laureata dovrei cercarmi un lavoro, guadagnare, fare la grande, prendermi delle responsabilita'. Perche e' cosi: lavorare significa entrare nel mondo dei grandi, di quelli che prendono le cose seriamente, degli indipendenti economicamente. Di quelli che hanno una vita oltre la famiglia, oltre la palestra e le stanze piene di vapore.

Chi non lavora e' privilegiato o immaturo.

Poi penso a me: con tre figli, due case, due cani e un marito, io, perdio, lavoro. Lavoro molto di piu' del tipo che lavora al supermarket e che mi saluta ogno volta con un sorriso smagliante. Lui probabilmente va a casa, perche' ha finito di lavorare, e cazzeggia.

Per una donna, anzi per una mamma, le cose son ben diverse. Per una come me lavorare vuol dire prendersi un secondo lavoro, l'unico retribuito. Perche' io tiro avanti una famiglia intera: Luca con i suoi miriadi di problemi, da gestire nei minimi particolari. Ultimamente, per esempio, discuto con le sue terapisti delle le sue fissazioni: quella di torturare Lola, il nostro Boxer., e'l aprima che mi viene in mente. Che sembra una cagata, ma Lola ha (giustamente) cominciato a ribellarsi. Il che vuol dire insegnare a Luca di non torturarla: sfido chiunque a insegnare a un quattordicenne autistico e con la sindrome di Down di non fare una cosa che lo fa star bene. C'e' gente che prende dottorati per imparare a modificare i comportamenti di persone psicolabili.

E questa e' solo una virgola della mia giornata. Ci sono incontri con insegnanti, con terapisti, con la commissione del Comune per stabilire i servizi che gli servono, la terapista a casa, la sua routine, le sue medicine, il suo dentista, il suo oculista, il suo cardiologo, i suoi esami.

Poi c'e Sofia, che sta entrando nella pre adolescenza e anche lei ha bisogno delle sue attenzioni. Che sono, giustamente, tante, e necessarie. E poi c'e' Emma, tre anni e mezzo di esperienza nel mondo. Cioe' tutto da insegnarle. Tutto.

Dan e' un compagno molto attento, presente; ma il bucato, la spesa, i compiti di Sofia, le relazioni coi mille personaggi nella vita di Luca, le riunioni alle varie scuole, la pulizia della casa, e poi la gestione della casa in campagna, il bucato li', la spesa li, il pulire li'...beh, lui lavora. Lui. Non ha tempo. Lui. Guadagna.

Non mi sto affatto lamentando. Sto dicendo che io, come donna, ho gia' dei compiti prestabiliti ben chiari. Compiti che mi sono stati dati con il mio primo fiocchetto rosa, con l'annuncio dell'infermiera a mio padre: e' femmina. Compiti che non entrano nella categoria lavoro, o carriera. Non  si discutono durante una cena con amici quando uno chiede, ma tu cosa fai?, non contano come lavoro. Sono le mie responsabilita' in quanto donna.

Hai le tette, e puoi allattare, per cui e' ovvio che tu sia la prescelta a stare a casa, dice qualcuno. La mamma e' il fulcro della famiglia, dicono altri. E' nella natura delle donne curar figli e casa, osa dire ancora qualcuno, sottovoce. Insomma, noi rimaniamo incinta per nove mesi, ci slabbriamo il corpo, lo doniamo per altri mesi in latte, perdiamo ore e ore a pulire, organizzare, fare. Poi ci viene chiesto, ma tu cosa fai?

Io rispondo sempre che faccio del volontariato. Mi faccio il culo, gratis. Perche' io sono nata donna, io ho le tette, ho l'utero. Ah, risponde chi invece ha una carriera, come dire, riconosciuta. E imbarazzato, passa a altri discorsi.

Finalmente mi sono laureata, dopo tanti anni di fatiche. Tra un corso e l'altro sono anche rimasta incinta di Emma. Mi ricordo che il docente di Storia Contemporanea aveva paura che partorissi in classe. In effetti ero gia' al mio ottavo mese, e facevo un po' di fatica a sedermi e ad alzarmi da quelle sedie piccoline, per diciottenni magri, che, appunto, vanno in palestra.

Adesso che ho la mia bella laurea, adesso, mi dico mentre nuda sulle piastrelle bianche della stanza piena di vapore sudo anche i rimorsi, adesso, mi dico, devo lavorare. Perche' fin'ora non ho fatto un cazzo. Ho studiato tutti 'sti anni e adesso devo pur far qualcosa. Concretizzare.

Invece faccio la doccia, mi asciugo e mi cospargo il corpo col mio olio al muschio bianco ordinato dal mio negozio preferito sull'Atlantic Avenue a Brooklyn. Mi vesto, mi pettino e, ovviamente, mi metto il rossetto. Esco dalla palestra che mi sento serena. Cosa preparo per cena? Mi fermo al supermercato, prendo due robe. Gia' che ci sono passo dalla  farmacia, che la medicina di Luca, o mia o di Dan e' finita. Andando a casa mi fermo anche a vedere se le lenti dei nuovi occhiali di Luca (il terzo paio questo mese) sono pronti. Vado a casa che devo portare fuori i cani.

Poi stasera, con calma, mi dico.

Dopo aver fatto da mangiare per tutti, messo a letto i bimbi, fatto la cucina e portato fuori i cani, stasera, mi dico, cerco un lavoro.

Che il lavoro nobilita l'uomo, perdio.

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